Storia

Certificazione Originale dei Savoia

FRANCUCCI … una ghiotta storia d’antichi pasticceri.

Da Severino ad Alberto … Camerino fine Ottocento, novembre inoltrato. Via Massei, che ancora arranca dalla Piana al Corso, s’era fatta uno scivolo di gelo e le briciole di neve sopravvivevano sospese nelle fessure ghiacciate e trasparenti del selciato, come reliquie in teca.

L’inverno, in impietoso anticipo, aveva schizzato le campagne e Camerino nella fame e nella neve. Sarà un’estate calda, ruminavano per contrappasso, per speranza, per la giustizia di Dio, quei rurali, manifatturieri per pochi mesi aspri, lavoranti di Severino Francucci, produttore di torroni che aveva il laboratorio al numero otto.

Erano le due e mezzo del pomeriggio e la vecchia Mariola, contadina ossuta delle terre vicine, s’era potuta alzare dallo sgabello: aveva girato per sette ore la pala di quercia nel caldaio di rame ed era cosÌ ogni giorno, da metà settembre fino a Natale, mischiando tanto torrone da far “stroncicare a li munelli”.

Di tanto in tanto vi tirava dentro un’occhiata dentro dove mugugnava l’abbozzo del torrone – un composto molle di miele locale, zucchero ed aromi – perché non bruciasse. Nel locale s’addensava calore umido e dolciastro della cottura senza fine.

Le altre donne, terminato di incartare le stecche della sera precedente, ora sbucciavano mandorle pugliesi della migliore qualità ( prima Bari scelta ), che faceva un po’ specie sceglierle cosÌ grandi – adatte per i confetti – per poi lasciarle spezzettare dentro quella caldaia inquieta.

Terminato il lavoro di Mariola, quattro uomini di fatica accorrevano a smuovere con forza l’amalgama che tendeva finalmente a compattarsi, accogliendo le mandorle tostate. Il Cavalier Severino, a quel punto, si faceva spazio.

Tirava fuori una boccetta scura, con dentro un liquido scuro anch’esso, e furtivo e cerimonioso ne versava il contenuto nella caldaia.

In quel fluido sconosciuto, che gli operai fissavano affascinati per pochi istanti prima che la massa non lo assorbisse, si celava il segreto del suo “torrone camerinese” dei Francucci.

Severino sapeva bene che quella mezza magia lo metteva a riparo da collaboratori troppo solerti che avrebbero potuto rubare il mestiere.

In più, il rito della boccetta magica restava l’oggetto preferito dei discorsi dei suoi lavoranti, cosÌ da invogliare quella gente semplice connaturata al profano, facendo per questo schiantare Alberto Bettacchi, concorrente dirimpettaio.

La contesa tra Severino Francucci ed Alberto Bettacchi durava dai primi decenni post unitari e s’era rivestita di epica rivalità. Ognuno convinto nell’intimo che il proprio torrone fosse oggettivamente insuperabile, con schiere contrapposte di affezionati consumatori.

Se Bettacchi, ditta attiva dal 1865, vantava tra i suoi estimatori la regina Margherita, nel 1946 il Principe del Piemonte concedeva al Cav. Severino Francucci – la casa era stata fondata da Romolo pressappoco negli stessi anni di Bettacchi – lo stemma reale con la legenda “Brevetto della Real Casa”.

Se Bettacchi era stato premiato a Marsiglia nel 1898 e a Parigi quattro anni dopo, a Francucci veniva attribuita la medaglia d’oro all’Esposizione internazionale di Barcellona nel 1912.

Il “tradizionale” torrone di Camerino – come lo descrive la Sig.ra Anna Luisa Biraschi, figlia di Ester Francucci ( ultimogenita della famiglia impegnata nell’attività) – dopo la fase di amalgama – veniva posto sugli stampi di legno ( di diversa dimensione a seconda del peso di ogni stecca voluta ), compresso con morsetti a vite per poi essere pressato a mano con rulli di metallo.

Infine, veniva spalmato alla base di albume d’uovo montato a neve e, sopra nonché ai lati, pennellato di glassa di cioccolato ( a base di burro di cacao e cioccolato amaro ).

Il torrone camerinese è un tesoro di miele e di bontà. Non si lascia vincere senza difesa: duro e schivo al primo impatto, si lascia sciogliere tra i denti ( così la gente delle Marche montane … ruvida fuori ma tenera nell’ intimo ).

Scriveva Fernando Palazzi che “noi marchigiani incliniamo al sentimento, i sentimenti sono tesori da celare … come se fossero nudità da nascondere. Strana gente, dopotutto”! I Francucci sono stati da sempre fornai e pasticceri: Romolo, Gervasio, Severino e Remo (partito per l’America, poi ritornato con le truppe alleate nella prima guerra mondiale e morto durante lo sbarco in Europea) fino ad Ester.

Titolari del bar del teatro e, dal 1955 al 1973, di quello di piazza Sant’ Angelo, proprio accanto a Bettacchi ( azienda da diversi anni trasferita in provincia di Ancona ), hanno continuato a produrre solo quel tipo di torrone fino al 1983, attività poi rilevata da Paolo Attili. … il guardiano del Torrone E’ una bella storia recente la sua, di un uomo che è come il suo prodotto, “duro e schivo al primo impatto, ruvido fuori ma tenero nell’intimo”.

Qualche anno da ragioniere in un’impresa, recupera il gusto familiare per l’impasto ( figlio di fornai di Camporotondo di Fiastrone -Mc- aiutava la fàmiglia a preparare dolci, ciambelle, pizze di Pasqua ): coadiuvato da moglie e figlie, cognata suocera e madre, il castellano di questa fortezza a base di miele e mandorle prepara amorevolmente il torrone Francucci.

Il torrone “mandorlato” mantiene sostanzialmente la stessa procedura e gli stessi ingredienti del “torrone camerinese”: mandorle nazionali pelate, tostate; miele millefiori, che sbocciano nei campi di grano subito dopo la mietitura; zucchero, aromi naturali.

Da non dimenticare, una base di neve di albume d’uovo e, per migliorare la qualità, ricoperto di cioccolato fondente Van – Houten Callebaut al posto della glassa di cacao. Accanto al tradizionale “mandorlato” ( bianco e ricoperto ), la Casa Francucci vanta il “mandorlato tenero” ( bianco e ricoperto ); il torrone tenero ricoperto al caffè, all’anice, al limone, all’arancio, alle fragole; un torrone friabile alle noci; il “C’era una volta” ( versione originale arricchita da una maggiore dose di miele ); ancora, il “nocciolato” ( al cioccolato al latte nonché fondente ); dulcis in fundo, il torroncino “Quicky”.

Produzione artigianale limitata, inferiore alla domanda, seguita in tutte le fasi con passione per produrre una delizia degna di tradizione lunga cent’anni. “Ho continue proposte per aumentare il fatturato – sostiene Paolo Attili – ma dovrei mettere qualcuno e gli operai potrebbero prenderti i segreti del mestiere, portar via tutto il lavoro delle notti passate a vegliare la caldaia per trovare il tempo giusto di ogni fase.

E’ un buongustaio della vita, quella vita che non ha fretta ( “non voglio invecchiare troppo presto …e non è giusto farsi sbranare dagli affari, anche se dolci”).

(Renato Mattioni – Appennino Camerte – 12 febbraio 1994)